-Ti ricordi - chiese, nel paradiso degli
animali, l'anima del somarello all'anima del bue - per caso ti ricordi quella
notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna, e là,
proprio nella mangiatoia?
-Lasciami pensare... Ma sì, - confermò il bue - nella mangiatoia c'era un bambino appena nato.
-Bravo! Da allora, se non sbaglio - fece l'asino – sono passati duemila anni.
-Caspita!
- E, a proposito, lo sai chi era quel bambino?
L'asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
-Ma no! - fece costui sbalordito - Sul serio?
-La pura verità. Lo giuro! Pensa che da allora, gli uomini, ogni anno, fanno gran festa per l'anniversario della nascita. E per loro non ci sono giornate più belle. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell'animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Lo chiamano Natale.
- Anzi, amico, mi viene un'idea. Vuoi che ti conduca a vederli?
-Chi?
-Gli uomini che festeggiano il Natale.
-Dove?
-Giù, sulla Terra, no?
Partirono. Lievi, lievi, planarono dal cielo sulla Terra, puntando verso una miriade di lumi: era una grandissima città.
Era uno spettacolo impressionante, i mille lumi delle vetrine, i festoni, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili e il formicolio vertiginoso della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, si accalcava nei negozi, si caricava di pacchi e pacchetti, tutti con un'espressione ansiosa e frenetica.
-Senti, amico asinello, tu mi hai detto che mi portavi a vedere il
Natale. Guarda che ti devi essere sbagliato. Te lo dico io: qui stanno
facendo la guerra.
Il bue fece una svolazzatina e si fermò a curiosare a una finestra del settimo piano. E l'asinello, dietro.
Videro una stanza ammobiliata riccamente e nella stanza, seduta a un tavolo, una signora preoccupata. Sul tavolo, c'era un cumulo, alto circa mezzo metro, di carte e cartoncini d'ogni colore. E la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati, lo esaminava un istante, subito scriveva qualcosa su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta, quindi prendeva un altro cartoncino colorato e rifaceva la manovra. Le sue mani andavano così veloci che era quasi impossibile vederle.
-Ma cosa sta facendo? - chiese il bue, - perché si sta massacrando
così?
-Non si massacra. Sta solo rispondendo ai biglietti d'auguri. Chissà come, gli uomini adesso ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un'altra finestra. Dovunque le due bestie guardassero, ecco uomini e donne che facevano pacchi, e preparavano buste, e correvano al telefono, e si spostavano da una stanza all'altra portando spaghi, nastri, carte. Dovunque arrivassero, era il medesimo spettacolo. Andare e venire, comprare e impacchettare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere.
Per le strade, nei negozi, negli uffici, nelle fabbriche, uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi l'un l'altro, come automi, delle monotone formule.
"Buon Natale, auguri, auguri, felici feste, grazie, auguri, auguri, auguri".
Era un brusio che riempiva la città.
-Ma ci credono? - chiese il bue. - Lo dicono sul serio? Vogliono veramente così bene al prossimo?
L'asinello tacque.
-Dimmi, - chiese il bue, ancora poco persuaso – ma sei proprio sicuro che non siano tutti pazzi?
- No, no, è semplicemente il Natale.
- Ce n'è troppo di Natale, allora!
- Ma ti ricordi quella notte, a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino? Era freddo, anche lì, eppure c'era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!
- E' vero. E quelle zampogne lontane, che si sentivano appena appena.
- E sul tetto come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano?
- Uccelli? Testone che non sei altro. Erano angeli!
- E quei tre ricchi signori che portavano regali, li ricordi? Come erano educati. E la stella? Proprio sopra la capanna!
- Chissà che non ci sia ancora...
- Ho idea di no - disse il bue, scettico. - C'è poca aria di stelle, qui.
Alzarono i musi a guardare, e infatti non si vedeva niente. Sulla
città c'era un soffitto di caligine.
-Lasciami pensare... Ma sì, - confermò il bue - nella mangiatoia c'era un bambino appena nato.
-Bravo! Da allora, se non sbaglio - fece l'asino – sono passati duemila anni.
-Caspita!
- E, a proposito, lo sai chi era quel bambino?
L'asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
-Ma no! - fece costui sbalordito - Sul serio?
-La pura verità. Lo giuro! Pensa che da allora, gli uomini, ogni anno, fanno gran festa per l'anniversario della nascita. E per loro non ci sono giornate più belle. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell'animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Lo chiamano Natale.
- Anzi, amico, mi viene un'idea. Vuoi che ti conduca a vederli?
-Chi?
-Gli uomini che festeggiano il Natale.
-Dove?
-Giù, sulla Terra, no?
Partirono. Lievi, lievi, planarono dal cielo sulla Terra, puntando verso una miriade di lumi: era una grandissima città.
Era uno spettacolo impressionante, i mille lumi delle vetrine, i festoni, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili e il formicolio vertiginoso della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, si accalcava nei negozi, si caricava di pacchi e pacchetti, tutti con un'espressione ansiosa e frenetica.
-Senti, amico asinello, tu mi hai detto che mi portavi a vedere il
Natale. Guarda che ti devi essere sbagliato. Te lo dico io: qui stanno
facendo la guerra.
Il bue fece una svolazzatina e si fermò a curiosare a una finestra del settimo piano. E l'asinello, dietro.
Videro una stanza ammobiliata riccamente e nella stanza, seduta a un tavolo, una signora preoccupata. Sul tavolo, c'era un cumulo, alto circa mezzo metro, di carte e cartoncini d'ogni colore. E la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati, lo esaminava un istante, subito scriveva qualcosa su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta, quindi prendeva un altro cartoncino colorato e rifaceva la manovra. Le sue mani andavano così veloci che era quasi impossibile vederle.
-Ma cosa sta facendo? - chiese il bue, - perché si sta massacrando
così?
-Non si massacra. Sta solo rispondendo ai biglietti d'auguri. Chissà come, gli uomini adesso ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un'altra finestra. Dovunque le due bestie guardassero, ecco uomini e donne che facevano pacchi, e preparavano buste, e correvano al telefono, e si spostavano da una stanza all'altra portando spaghi, nastri, carte. Dovunque arrivassero, era il medesimo spettacolo. Andare e venire, comprare e impacchettare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere.
Per le strade, nei negozi, negli uffici, nelle fabbriche, uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi l'un l'altro, come automi, delle monotone formule.
"Buon Natale, auguri, auguri, felici feste, grazie, auguri, auguri, auguri".
Era un brusio che riempiva la città.
-Ma ci credono? - chiese il bue. - Lo dicono sul serio? Vogliono veramente così bene al prossimo?
L'asinello tacque.
-Dimmi, - chiese il bue, ancora poco persuaso – ma sei proprio sicuro che non siano tutti pazzi?
- No, no, è semplicemente il Natale.
- Ce n'è troppo di Natale, allora!
- Ma ti ricordi quella notte, a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino? Era freddo, anche lì, eppure c'era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!
- E' vero. E quelle zampogne lontane, che si sentivano appena appena.
- E sul tetto come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano?
- Uccelli? Testone che non sei altro. Erano angeli!
- E quei tre ricchi signori che portavano regali, li ricordi? Come erano educati. E la stella? Proprio sopra la capanna!
- Chissà che non ci sia ancora...
- Ho idea di no - disse il bue, scettico. - C'è poca aria di stelle, qui.
Alzarono i musi a guardare, e infatti non si vedeva niente. Sulla
città c'era un soffitto di caligine.